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MASTERPIECE II - RAI3 24Novembre

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‘MASTERPIECE’ II, Domenica 24 Novembre 2013

Oltre l’orario impossibile della messa in onda, il programma è stato, a mio avviso, deludente, molto deludente. Tale da confermare i dubbi della prima puntata. Infatti sfugge dall’essere un ‘talent in progress’ forse perché non sono state spiegate al pubblico le regole del gioco, che del resto non sono esplicate neppure nel ‘regolamento’ pubblicato. Fatto è che non risulta essere una spettacolo di intrattenimento ma un gioco alla mercé di una giuria molto discutibile che, ad esempio, nel caso specifico della puntata in oggetto, sembra aver assunto un atteggiamento più di sufficienza che di rigore. Tolta la maleducazione e la mancanza di rispetto da parte di un elemento della giuria di lanciare un libro in restituzione a una concorrente. Perché donna?, viene lecito chiedersi. L’avrebbe fatto lo stesso con un uomo che avrebbe potuto prenderlo a pugni in faccia? Io non lo credo.


Per entrare nel merito della kermesse, va detto che pecca di troppo ‘sintetismo verbale’ perché in certi momenti non si riesce a seguire ‘chi di cosa’ o, viceversa, ‘a quale scritto e a chi si fa riferimento’. Colpa del montaggio delle fasi e lo ‘sporco’ di certi spezzoni non ripuliti e messi in onda. Mancanza di professionalità? Forse, ma dove è finita la RAI?


Contenuti:
Biografismo? Fin troppo nei testi prescelti o forse giunti in redazione. Esordienti che hanno passato una prima scrematura, oppure?
Ricerca di uno ‘talento’ specifico, o del vuoto?
Coprire un ‘vuoto’ letterario, o cosa?

Trovate le malfunzioni del programma:
1)La mancanza totale di ‘senso’ (estetico), diverso dallo ‘scopo’ (pubblicazione), e che rappresenta ‘il ponte’ di congiunzione tra una sponda e l’altra, atto a stabilire il punto d’incontro, che chiamo “il punto dell’angelo”, posto al centro del ponte; vero trait d’union fra i due estremi della logicità e l’ illogicità, fra la musicalità poetica tradizionale e l’incongruenza verbale di un nuovo linguaggio, intrinseche nella combinazione delle parole all’interno di un testo scritto. Da cui l’accessibilità o inaccessibilità del ‘senso’ da parte del lettore, la cui esigenza, alla base delle sue scelte, è sempre stata e resta insindacabile, al quale “spiegare il linguaggio usato in termini di ‘ordinario’, costituisce un disconoscimento dei suoi valori specifici.” (..) Da cui parte “la necessità di trovare un’unità di essere: bisognerebbe avere tutte le età in una sola volta.” (Bachelard).

2)Mancanza del ‘quinto elemento’ portante oltre i tre scrittori e il direttore editoriale, cioè il ‘lettore’ tout-court, che potrebbe essere diverso di estrazione e d’età per ogni puntata, preso dalla strada, al parco, sull’autobus o sulla metropolitana delle grandi città, colui che legge per passione dal biglietto del tram, al quotidiano, al ‘romanzo’, e perché no, che si nutre di poesia, di musica e quant’altro ha a che fare con la parola scritta. Per cui: il lettore di poesia cercherà quanto di poetico c’è nel testo sottoposto; il lettore del quotidiano, se la cronaca di un noir è plausibile; l’accanito lettore di romanzi, se la storia o il dramma, raggiunge il patos necessario a proseguire e così via. Di certo il contributo esterno e tuttavia ‘fonte di giudizio’ potrebbe risultare disarmante per la giuria, in quanto approfondirebbe quelle che sono le priorità dell’interesse generale.

Bene si è pensato da questa puntata in poi di pubblicare on-line i testi del contest: www.masterpiece.rai.it, ma non è detto se i commenti avranno un qualche rilevanza specifica. Se, come è stato detto, “la parola è stata concessa all’uomo perché occulti il suo pensiero”, la ricerca della ‘verità’ all’interno di un testo, qualunque esso sia, esula dalla realtà dei fatti narrati e, non necessariamente rientra in quella che potrebbe essere la vita realmente vissuta, per così dire ‘biografica’ o ‘autobiografica’ che invece più spesso si cerca di individuare nei partecipanti al ‘talent’ da parte dei giurati. Fatto questo che non dovrebbe accadere, poiché un testo, qualunque esso sia, una volta scritto e rilasciato dal suo autore, vive di vita propria, i suoi personaggi da quel momento in poi si muovono autonomamente sulla scena che l’autore ha inventato o verosimilmente ricreato per loro. Non è necessario vederli in un contesto ‘realistico’ in quanto non lo sono comunque; neppure quelli di riferimento a fatti di cronaca.

È il caso della maggior parte dei ‘testi’ presentati ieri sera tra i quali non si è riscontrato alcun avvenimento ‘linguistico’ eclatante, che andasse oltre il linguaggio spudorato del quotidiano (magari!), bensì re-inventato per dare luogo a sensazioni spesso sottotono perché carenti di qualsivoglia cultura, quando non sopra le righe per dimostrare una eccitabilità del carattere più vicina alla paranoia che all’estro scrittorio. Tolti i casi, forse un po’ ‘ricercato’ quello di Federica Lauto, e un po’ ‘eccessivo’ ma perché esuberante di Nikola Savic.

Penso che se fosse stata fatta una pre-selezione con un dichiarato ‘senso’ piuttosto che il solo ‘scopo’, forse, si sarebbero avuti ‘testi’ decisamente più ‘liberi’ e magari anche creativi. Tuttavia senza depauperare, come purtroppo avviene da parte dei giudici, la ‘veritiera’ ragione per cui il testo è stato scritto: che non ciò che è vero è reale è veritiero in assoluto, e comunque non sempre e in ogni caso. Tutto cambia e tutto è soggetto allo stravolgimento, inclusa la ‘scrittura’. “Una delle attività più immediate del linguaggio va individuata nel linguaggio che immagina” (Bachelard). Ed è proprio questa necessità umana a rendere pianamente ‘vivo’ il linguaggio, altrimenti leggeremmo solo fatti di cronaca, stucchevoli elenchi del telefono, ricettari forbiti di dosaggi ecc. che, seppure sono di qualche utilità, certo non allietano lo spirito e non lasciano ‘immaginare’ l’impossibile, che non già lo scrittore ne ha bisogno, quanto il lettore in funzione del proprio straniamento. 


Mentre lo scrittore sappiamo, lo fa per diletto oltre che per un’infinita serie di motivi edonistici e/o psicologici, che vanno dal dare spazio alla propria sensibilità, al proprio narcisismo, al logorroico entusiasmo di imporsi, all’accrescimento economico, e altri ancora; il lettore da par suo, lo fa per estraniarsi dalla propria realtà per entrare in ‘altra’ cui talvolta non è ammesso. O, che pensa di poter imitare, quasi sempre sdoppiandosi da sé stesso e ‘vivere’, sebbene per la durata delle pagine di un libro, nell’irrealtà che supera di gran lunga, nel bene e nel male, la quotidiana routine del vissuto. Ecco perché il ‘parere/giudizio’ del lettore si rende indispensabile: affinché chi sta di qua dal teleschermo comprenda il/nel ‘senso’, la funzione di un sì concepito ‘talent’ che altrimenti sfugge del tutto.

Discreta prova per Walter Siti che si è aggiudicato il Premio Strega 2013. con 'Resistere non serve a niente' (Rizzoli), il quale ha affermato per l’occasione: "Le gare mi piacciono, ne ho perse tante e questa volta ho vinto". Un messaggio che si addice moltissimo anche ai partecipanti di questa serata, ancor più (chi più chi meno) ai conduttori di questo ‘talent’.

 

 

 

 

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